Come riorganizzerei il calcio italiano
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Re: Come riorganizzerei il calcio italiano
Io intendevo più il gironcino a fino campionato con i punti dimezzati dalla regular season. Non svaluti completamente la regular season. Sarebbe funzionato meglio senza i 4 posti Champions assicurati, ma 34 partite+le prime 4 che vanno ai playoff sono 40 partite, fattibile, in Francia e Inghilterra hanno due coppe e in Spagna fanno andata e ritorno in coppa.antoniocs ha scritto: In belgio ci sono 16 squadre e le partite in piu sono 10, totale 40 per squadre che in europa salutano molto presto.
46 giornate solo di campionato giusto sky potrebbe immaginarle
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- antoniocs
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Re: Come riorganizzerei il calcio italiano
Un altro modo ci sarebbe, costringerli a sostituire Marotta con Monchi e la formula del campionato è salvaoswald ha scritto:Sarebbe l'unico modo per provare a interrompere il dominio juventino, su 38 partite è un'impresa quasi impossibile.
Quindi non si faranno mai.
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Re: Come riorganizzerei il calcio italiano
Gravia ha detto, «Dobbiamo avviare l’idea di una riforma dei campionati con la Serie A e la Serie B a 20 squadre».
Significa entrambi campionati a 20 squadre o solamente la Serie B?
Secondo me e' importante per la Serie A ritornare a 18.
Grazie.
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Re: Come riorganizzerei il calcio italiano
Meravigliosoantoniocs ha scritto: Un altro modo ci sarebbe, costringerli a sostituire Marotta con Monchi e la formula del campionato è salva
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Re: Come riorganizzerei il calcio italiano
A quanto sembra ci stanno provando in tutti i modi a tenere questo campionato vivo.
Al Napoli e all’Inter regalano ciascuna minimo un rigore a giornata.
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Re: Come riorganizzerei il calcio italiano
L'unico metodo per ravvivare questo campionato è eliminare la Rube. Leggo che ogni tanto le big d'Europa si vogliono fare il campionato a parte per conto loro (la chiamano Superlega).
Beh....se lo facessero e non rompessero più i cabasisi.
Quanto sarebbe bello ed emozionante il campionato senza di loro.
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Re: Come riorganizzerei il calcio italiano
Sarebbe un disastro economico per il campionato italiano.Fonzie10 ha scritto:L'unico metodo per ravvivare questo campionato è eliminare la Rube. Leggo che ogni tanto le big d'Europa si vogliono fare il campionato a parte per conto loro (la chiamano Superlega).
Beh....se lo facessero e non rompessero più i cabasisi.
Quanto sarebbe bello ed emozionante il campionato senza di loro.
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Re: Come riorganizzerei il calcio italiano
Non ho trovato un topic apposito, lo metto qui:
https://www.calciomercato.com/news/choc ... sagg-71731
E' probabile che sabato non giocheremo. Non mi stupisce che si arrivi a tale barbarie e forse è questa la cosa più grave.
https://www.calciomercato.com/news/choc ... sagg-71731
E' probabile che sabato non giocheremo. Non mi stupisce che si arrivi a tale barbarie e forse è questa la cosa più grave.
"Tutti gli allenatori parlano di movimento, di correre molto. Io dico che non è necessario correre tanto. Il calcio è uno sport che si gioca col cervello. Devi essere al posto giusto al momento giusto, né troppo presto né troppo tardi"
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Re: Come riorganizzerei il calcio italiano
Riporto un articolo secondo me molto interessante sulla fruizione del calcio da parte dei tifosi, un argomento che sembra essere sempre meno discusso rispetto ad altri temi del calcio italiano.
[..]Fra i mutamenti che il calcio italiano ha sperimentato negli ultimi anni, quello dell’accesso agli stadi e della fruibilità delle partite dal vivo rappresenta un cambiamento palpabile. Il problema principale di questo meccanismo è quello dei prezzi.
[A fine anni 90] il prezzo medio del biglietto per le partite casalinghe dell’Inter era di 24,7 euro. Tenendo conto dell’inflazione, si tratta di 35,4 euro del 2017. La differenza con i nostri giorni è notevole. Oggi, per vedere il Frosinone a Milano non si scende sotto i 30 euro. La fascia di prezzi per un biglietto senza riduzioni per le partite casalinghe di alcuni dei principali club italiani oscilla fra i 25-75 euro per la Roma, 30-125 euro per Inter e Milan, 40-125 euro per la Juventus. Questi valori rappresentano solamente la base di partenza, che può tranquillamente aumentare nel caso di competizioni più sentite: Milan-Juventus costa almeno 75 euro. L’impatto di questi aumenti sul potere d’acquisto è ancora maggiore se consideriamo l’evoluzione dei salari reali: un mero +2,8% dal 1997. Il caro biglietti non è passato inosservato ai tifosi, che hanno più volte protestato contro questa tendenza e che in alcuni casi si è arrivati al boicottaggio degli ingressi.
In questo quadro bisogna anche considerare come si è evoluto l’uso delle strutture sportive. Sempre più società si stanno muovendo verso il modello inglese, che all’uso di strutture pubbliche sostituisce stadi di proprietà delle società calcistiche. Questo modello spesso si accompagna a un restringimento delle possibilità di accesso al calcio dal vivo. Il caso più eloquente è quello della Juventus, che è passata dal Delle Alpi, con una capienza di 77 mila spettatori circa, allo Stadium (anzi, all’Allianz Stadium), con meno di 42 mila posti. Quasi la metà dello storico Delle Alpi. Una delle conseguenze di questa logica è stato l’aumento dei prezzi degli abbonamenti. Quest’anno, per vedere la squadra allenata da Allegri, i tifosi hanno dovuto sborsare almeno 595 euro per garantirsi un abbonamento, contro i 350 dei sostenitori napoletani e i 255 pagati dagli interisti. [..] Siamo di fronte a un meccanismo generalizzato che sta progressivamente erodendo la fruizione popolare del calcio ai massimi livelli (nazionali). C’è da aspettarsi che meccanismi simili si installino una volta che anche le altre squadre (come Roma e Milan) porteranno a compimento i loro nuovi stadi, entrambi più piccoli degli attuali.
Paradossalmente, questi prezzi si inseriscono in un contesto in cui esiste un’ampia offerta di posti a sedere inutilizzata. Il calo storico degli spettatori è evidente. Nell’ultimo periodo il numero di spettatori degli incontri di Serie A è di circa 23 mila unità in media, mentre negli anni Novanta si attestavano sui 30 mila a partita.
Questo ha portato a casi eclatanti, come la chiusura del terzo anello del Meazza che rimane inaccessibile nella maggior parte delle partite. Si tratta del settore più lontano dal campo di gioco, ma anche quello tradizionalmente più economico. Come contropartita, come abbiamo visto, non c’è stata una diminuzione dei prezzi degli altri settori, dove anzi sono aumentati. Prezzi decisamente anti-popolari che sicuramente non sono giustificati dai risultati, tutt’atro che esaltanti, delle squadre milanesi nelle ultime stagioni. Negli ultimi anni, lo stadio più importante d’italia ci ha abituato a tristi immagini di gradinate vuote. Qui come per molti altri impianti, si sarebbero potute mettere in moto politiche per aumentare l’accesso al calcio dal vivo. Questa visione però si scontra con il modello di business perseguito dalle società: un modello elitista. Il calo degli spettatori non rappresenta una preoccupazione per le squadre, che possono garantire un flusso costante (o crescente in alcuni casi) di introiti dalla biglietteria grazie all’aumento dei prezzi. Mentre il numero di tifosi presenti alle partite diminuisce, i ricavi provenienti dalle gare per tutte le società sono sostanzialmente stabili. Aumentano voci quali i diritti televisivi e ricavi commerciali. In questo contesto, non sorprende l’ipotesi di spostare lo svolgimento di alcune gare della Serie A all’estero; il popolo che si nutre di calcio non è il benvenuto sulle gradinate.
In prospettiva internazionale, il confronto sulla presenza negli stadi è impietoso. La percentuale di presenze negli stadi italiani è ben al di sotto di quella degli altri principali paesi europei in tema calcistico. Secondo i dati Eurosport e Figc, nella stagione 2015/2016 le strutture di Serie A sono stati occupati solo un 55% della loro capienza totale, contro il 94% della Premier League, il 93% della Bundesliga, il 69% della Liga spagnola e il 66% di quelli transalpini.
Sul fronte della trasmissione televisiva del calcio giocato, la situazione non è più rassicurante. A partire da quest’anno per vedere tutte le partite di Serie A è necessario il doppio abbonamento (Sky + DAZN) per un costo totale superiore ai 40 euro mensili. Mentre Sky lascia sostanzialmente invariati i costi dell’abbonamento del pacchetto necessario per vedere la Serie A, il numero di partite offerte diminuisce considerevolmente. Questo sdoppiamento rappresenta una piccola rivoluzione nell’offerta delle pay-tv. Il mito della concorrenza che favorisce il consumatore stimolando l’abbassamento dei prezzi, si scontra con la realtà di un capitalismo monopolistico.
Nella valutazione degli interventi istituzionali riguardanti il calcio dal vivo, un altro tassello imprescindibile in questo puzzle è rappresentato dalla lotta aperta al “tifo violento”. La tessera del tifoso, il Daspo e la schedatura dei tifosi sono alcune delle misure adottate con l’obbiettivo dichiarato di contrastare gli atti violenti nel calcio. Dietro la maschera della sicurezza, gli stadi hanno rappresentato nei fatti il laboratorio privilegiato delle politiche sul controllo sociale. Misure che non hanno scardinato, perché appunto non rientrava negli obiettivi, i meccanismi criminali e in certi casi mafiosi presenti in alcune sacche di tifoseria. Il caso più recente arrivato agli onori della cronaca è quello della Juventus, documentato da Report, sui legami fra gli ultras bianconeri e cosche mafiose legate al bagarinaggio. Bagarinaggio che, va da sé, non fa che ridurre la possibilità di accesso alle partite a prezzi popolari. Quello della Juventus non è che l’ultimo esempio di come la malavita sia tutt’oggi presente negli stadi italiani.
[..] Indipendentemente della retorica della nostra classe politica, lo stadio sta diventando un luogo sempre più inaccessibile per le famiglie provenienti dai ceti popolari.
(Davide Villani, jacobinitalia.com.it)
[..]Fra i mutamenti che il calcio italiano ha sperimentato negli ultimi anni, quello dell’accesso agli stadi e della fruibilità delle partite dal vivo rappresenta un cambiamento palpabile. Il problema principale di questo meccanismo è quello dei prezzi.
[A fine anni 90] il prezzo medio del biglietto per le partite casalinghe dell’Inter era di 24,7 euro. Tenendo conto dell’inflazione, si tratta di 35,4 euro del 2017. La differenza con i nostri giorni è notevole. Oggi, per vedere il Frosinone a Milano non si scende sotto i 30 euro. La fascia di prezzi per un biglietto senza riduzioni per le partite casalinghe di alcuni dei principali club italiani oscilla fra i 25-75 euro per la Roma, 30-125 euro per Inter e Milan, 40-125 euro per la Juventus. Questi valori rappresentano solamente la base di partenza, che può tranquillamente aumentare nel caso di competizioni più sentite: Milan-Juventus costa almeno 75 euro. L’impatto di questi aumenti sul potere d’acquisto è ancora maggiore se consideriamo l’evoluzione dei salari reali: un mero +2,8% dal 1997. Il caro biglietti non è passato inosservato ai tifosi, che hanno più volte protestato contro questa tendenza e che in alcuni casi si è arrivati al boicottaggio degli ingressi.
In questo quadro bisogna anche considerare come si è evoluto l’uso delle strutture sportive. Sempre più società si stanno muovendo verso il modello inglese, che all’uso di strutture pubbliche sostituisce stadi di proprietà delle società calcistiche. Questo modello spesso si accompagna a un restringimento delle possibilità di accesso al calcio dal vivo. Il caso più eloquente è quello della Juventus, che è passata dal Delle Alpi, con una capienza di 77 mila spettatori circa, allo Stadium (anzi, all’Allianz Stadium), con meno di 42 mila posti. Quasi la metà dello storico Delle Alpi. Una delle conseguenze di questa logica è stato l’aumento dei prezzi degli abbonamenti. Quest’anno, per vedere la squadra allenata da Allegri, i tifosi hanno dovuto sborsare almeno 595 euro per garantirsi un abbonamento, contro i 350 dei sostenitori napoletani e i 255 pagati dagli interisti. [..] Siamo di fronte a un meccanismo generalizzato che sta progressivamente erodendo la fruizione popolare del calcio ai massimi livelli (nazionali). C’è da aspettarsi che meccanismi simili si installino una volta che anche le altre squadre (come Roma e Milan) porteranno a compimento i loro nuovi stadi, entrambi più piccoli degli attuali.
Paradossalmente, questi prezzi si inseriscono in un contesto in cui esiste un’ampia offerta di posti a sedere inutilizzata. Il calo storico degli spettatori è evidente. Nell’ultimo periodo il numero di spettatori degli incontri di Serie A è di circa 23 mila unità in media, mentre negli anni Novanta si attestavano sui 30 mila a partita.
Questo ha portato a casi eclatanti, come la chiusura del terzo anello del Meazza che rimane inaccessibile nella maggior parte delle partite. Si tratta del settore più lontano dal campo di gioco, ma anche quello tradizionalmente più economico. Come contropartita, come abbiamo visto, non c’è stata una diminuzione dei prezzi degli altri settori, dove anzi sono aumentati. Prezzi decisamente anti-popolari che sicuramente non sono giustificati dai risultati, tutt’atro che esaltanti, delle squadre milanesi nelle ultime stagioni. Negli ultimi anni, lo stadio più importante d’italia ci ha abituato a tristi immagini di gradinate vuote. Qui come per molti altri impianti, si sarebbero potute mettere in moto politiche per aumentare l’accesso al calcio dal vivo. Questa visione però si scontra con il modello di business perseguito dalle società: un modello elitista. Il calo degli spettatori non rappresenta una preoccupazione per le squadre, che possono garantire un flusso costante (o crescente in alcuni casi) di introiti dalla biglietteria grazie all’aumento dei prezzi. Mentre il numero di tifosi presenti alle partite diminuisce, i ricavi provenienti dalle gare per tutte le società sono sostanzialmente stabili. Aumentano voci quali i diritti televisivi e ricavi commerciali. In questo contesto, non sorprende l’ipotesi di spostare lo svolgimento di alcune gare della Serie A all’estero; il popolo che si nutre di calcio non è il benvenuto sulle gradinate.
In prospettiva internazionale, il confronto sulla presenza negli stadi è impietoso. La percentuale di presenze negli stadi italiani è ben al di sotto di quella degli altri principali paesi europei in tema calcistico. Secondo i dati Eurosport e Figc, nella stagione 2015/2016 le strutture di Serie A sono stati occupati solo un 55% della loro capienza totale, contro il 94% della Premier League, il 93% della Bundesliga, il 69% della Liga spagnola e il 66% di quelli transalpini.
Sul fronte della trasmissione televisiva del calcio giocato, la situazione non è più rassicurante. A partire da quest’anno per vedere tutte le partite di Serie A è necessario il doppio abbonamento (Sky + DAZN) per un costo totale superiore ai 40 euro mensili. Mentre Sky lascia sostanzialmente invariati i costi dell’abbonamento del pacchetto necessario per vedere la Serie A, il numero di partite offerte diminuisce considerevolmente. Questo sdoppiamento rappresenta una piccola rivoluzione nell’offerta delle pay-tv. Il mito della concorrenza che favorisce il consumatore stimolando l’abbassamento dei prezzi, si scontra con la realtà di un capitalismo monopolistico.
Nella valutazione degli interventi istituzionali riguardanti il calcio dal vivo, un altro tassello imprescindibile in questo puzzle è rappresentato dalla lotta aperta al “tifo violento”. La tessera del tifoso, il Daspo e la schedatura dei tifosi sono alcune delle misure adottate con l’obbiettivo dichiarato di contrastare gli atti violenti nel calcio. Dietro la maschera della sicurezza, gli stadi hanno rappresentato nei fatti il laboratorio privilegiato delle politiche sul controllo sociale. Misure che non hanno scardinato, perché appunto non rientrava negli obiettivi, i meccanismi criminali e in certi casi mafiosi presenti in alcune sacche di tifoseria. Il caso più recente arrivato agli onori della cronaca è quello della Juventus, documentato da Report, sui legami fra gli ultras bianconeri e cosche mafiose legate al bagarinaggio. Bagarinaggio che, va da sé, non fa che ridurre la possibilità di accesso alle partite a prezzi popolari. Quello della Juventus non è che l’ultimo esempio di come la malavita sia tutt’oggi presente negli stadi italiani.
[..] Indipendentemente della retorica della nostra classe politica, lo stadio sta diventando un luogo sempre più inaccessibile per le famiglie provenienti dai ceti popolari.
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Re: Come riorganizzerei il calcio italiano
ma che dici, basta con st'astio, si può tifare Roma senza per forza ignorare o sottovalutare la potenza e la crescita bianconera che è unica nel suo genere, una società impressionantekappone ha scritto:Basterebbe radiare la Juve.
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Re: Come riorganizzerei il calcio italiano
Il 31 gennaio FIGC ha decisio che, partire dalla stagione 2019/2020, Serie A e Serie B autonomamente deliberare - entro il 31 dicembre - il numero di squadre partecipanti al proprio campionato con delibera che entrerà in vigore a partire dal torneo successivo.
Quindi e' possibile che prima 31 dicembre 2019 la Lega di Serie A puo decidere di ridurre il numero di squadre da 20 a 18 per la stagione 2020/21? Non mi sembra cosi' perche' per farlo i numeri della squadre che che saranno promosso e retrocesso deve essere deciso prima l'inizio della stagione.
Quindi e' possibile che prima 31 dicembre 2019 la Lega di Serie A puo decidere di ridurre il numero di squadre da 20 a 18 per la stagione 2020/21? Non mi sembra cosi' perche' per farlo i numeri della squadre che che saranno promosso e retrocesso deve essere deciso prima l'inizio della stagione.
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Re: Come riorganizzerei il calcio italiano
Intendevo che hai ragione..
Non è facile per via delle retrocessioni e promozioni...
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Chi c’è in linea
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