Ritorno del maltempo, sconfitta interna col Napoli e l'approssimarsi di un turno notturno lavorativo per nulla agevole, nel pensar di poter trovare il modo di non affrontarlo a cottimo. Quando si dice: "l'umore è quello tipico di un sabato invernale". Se poi una volta staccato, ci si ritrova a osservare un violento acquazzone e chiedersi: "ma che colore ha, una giornata uggiosa?" Allora si può anche riflettere per un momento, che ci sarebbero tutti i presupposti per passare una domenica plumbea, sotto le pezze al calduccio. Con tanto di pantofole, davanti a qualche vecchio film, accompagnato da una tazza di tè caldo. Ringrazio il cielo di avere ancora un incredibile fiducia in Giove Pluvio e un profuso disdegno nel pensare di trascorrere un'apatica sunday tra le proprie mura domestiche. Il tempo di rientrare in casa, farmi una doccia, mettere nello zaino l'abito adatto per la meta tanto agognata e riuscire immediatamente per raggiungere l'amico fidato (che ha sempre "taciuto"
) per trascorrere questa domenica in Sabina, ancora parecchio incerta dal punto di vista climatico. Appuntamento davanti la Coin di Viale Libia, purtroppo per quanto mi sono sforzato di provare a rendermi tortuoso il cammino, oltre alla metro A e la B, ho solamente potuto aggiungere l'88 dal Policlinico per rendere meno soporifero l'arrivo nel cuore del quartiere Africano. Saluti di rito, pronti e via, sotto una pioggia incessante e un cielo nero che non prometteva niente di buono. Ora, di norma sono il classico tipo che d'estate quando vede previsioni che minacciano temporali, tuoni, fulmini e tempeste, resta comunque fiducioso su possibili schiarite pomeridiane, che se poi effettivamente si manifestano, afferra telo, costume e solare per raggiungere la spiaggia. Figuriamoci perciò, se una volta annotato per oggi il fatto che molti meteorologi indicavano un dopopranzo sereno, senza rovesci temporaleschi, potevo rinunciare alla voglia infinita di vivere un evento unico nel suo genere, saltato solamente lo scorso anno, per pure cause di organizzazione, costretta suo malgrado ad annullarlo dietro retrogradi ordini giunti dall'alto. I quasi 60 km di strada che separano Roma da Poggio Mirteto passano serenamente, affrontando senza fretta una Salaria quasi del tutto sgombra. Il clima disteso e cordiale nell'abitacolo non corrispondeva affatto a quello esterno, ancora intenso nei piovaschi, meno che mai propensi a cessare nel breve. Trovandoci con un buon margine d'anticipo sul nostro arrivo progettato alla partenza, abbiamo deciso di fare una sosta a Castelnuovo di Farfa, passando svogliatamente qualche minuto all'interno di uno dei tanti mercatini domenicali che affollano i vari paesini e borghi di tutta la regione. Una volta di nuovo in auto, siamo arrivati a Poggio Mirteto poco dopo le 13:00. Flebile gnagnarella con nuvole sempre meno coese che si diradavano all'orizzonte. Finalmente per pranzare, oltre alle varie zozzerie (buonissime) cariche di calorie, ho potuto trovare anche uno stand dove avevano preparato zuppe di seitan con orzo perlato, spinaci e hamburger di farro. Una salvezza, in mezzo a tante tentazioni. Scarna la presenza iniziale sulla piazza, ancora lontana dal crescere di numero. L'inopportuno colpo di coda dell'inverno ha in principio scoraggiato molti aficionados nel recarsi in loco. Il fato per una volta si è mostrato lodevole di premure, facendo sciogliere i dubbi ai più indecisi. Un sole rigoglioso e fiero ha fatto capolino per la prima volta nell'odierna giornata, portando luce su tutto il paese e irradiando i cuori dei pensierosi organizzatori poggiani. Terminato il pranzo, immediata è stata la nostra camminata verso il portabagagli per cambiarci e metterci i costumi blasfemi decisamente più adatti alla festa. Ho finalmente potuto indossare e dare un senso anche all'astruso copricapo in stile Merlino che sono riuscito a vincere a Berlino lo scorso ottobre in una pesca giostraia nel bel mezzo di una fiera. In principio indirizzai le mie mire su un gagliardetto dell'Herta, ma tant'è. A caval donato non si guarda in bocca.
Ogni mini gazebo per i gruppi musicali ha trovato la sua precisa collocazione. Vino e birra hanno incominciato a scorrere a fiumi tra i più e il Bammoccio, una volta avute ulteriori positive rassicurazioni climatiche, è stato sistemato nella parte della piazza parallela al balcone del municipio. Costumi davvero arditi tra i più, tra cui in assoluto fra tutti hanno spiccato un Giuda in versione allibratore che si affannava nel dare le quote sui suoi prossimi tradimenti e una peccaminosa Maddalena in versione osé. Altre più estreme non posso censirle per rispetto degli utenti che hanno una visione maggiormente sensibile riguardo a tale argomento. Sbronzi di Riace in grandissimo spolvero. Un repertorio in gran parte dedito a rievocare i tanti testi degni di nota in onore dei vari: De Andrè, Guccini, Gaber, Jannacci, Nomadi, Dalla. In altri angoli sull'enorme Piazza Martiri della Libertà, hanno fatto sfoggio del loro repertorio diversi gruppi ska, punk hardcore, reggae e death metal. Molto meno intense le svampe di trelle rispetto al passato. Le vigorose raccomandazioni, seguite da forti restrizioni sul territorio, hanno intimato prudenza e voglia in forte regresso di ritrovarsi invischiati in eventuali circostanze poco gioiose per una larga fetta dei presenti. Un paio di volti amici incrociati e salutati nel marasma generale. Attualissima e curata come al solito la tematica affrontata con grande spirito e sarcasmo dall'organizzazione. Una copia sputata di Donald Trump con tanto di fischietto a dirigere le danze. Dietro di lui un vistoso telo a rappresentare un muro tenuto da un paio di persone, con una ciurma nutrita di colorati e chiassosissimi messicani, che con tamburi, grancasse e piatti, hanno fatto ballare una moltitudine di gente fino al tramonto. Col trascorrere del tempo i fumi dell'alcool (e non solo...) hanno reso ciondolanti un corposo stuolo di viziosi, rendendo ancor più alticcia l'atmosfera. Come al solito, le trampoliere sono risultate frizzanti e incredibilmente ammirevoli, nei loro volteggi danzanti a certe altezze da terra, concentrate tra la popolosa massa. Mangiafuochi, sbandieratori e sagome a rappresentare alcuni santi in maniera spiritosa, hanno fatto anche loro da cornice a questa antica rievocazione che senz'altro esce fuori dall'ordinario. Giunta l'oscurità, come da decenni a questa parte, si è finalmente dato fuoco al Bammoccio e alla Pantasima (rappresentata stavolta da Gentiloni), tra le grida di incoraggiamento e giubilo di tutta la piazza. Una volta ultimato il rogo, con vari girotondi di gruppo attorno alle fiamme, è calato come di prassi il sipario sul Carnevalone Liberato. L'aver fatto "l'oltre" fino a chiusura, senza cappotto né sciarpa, mi ha provocato un abbassamento di voce, scontato come le risse in campo a metà dei secondi tempi nei derby capitolini da sbadiglio dei primi anni '90. Arrivati in macchina, indossate le giacche, siamo ripartiti in un lampo alla volta di Roma, anticipando anche l'arrivo in forze dei CC. Pronti a effettuare gli inflessibili arcinoti posti di blocco con alcool test intransigenti all'uscita del paese, all'altezza del bivio di Gavignano. Encomiabile il comportamento del mio amico che si è cortesemente offerto di accompagnarmi fino a casa. Per le 21:00 ho varcato la soglia d'ingresso, trovando relax in una doccia rinfrancante che mi ha rimesso al mondo dopo una giornata passata senza un attimo di tregua. Pagano, eclettico, spensierato... all'anno prossimo audace Carnevalone Liberato.