Premessa: so bene che con Viola e Liedholm la Roma stava cercando di prendere quella via, ma poi de facto non è accaduto.
Tesi di Drasci: la Roma non ha mai fatto quel salto perché è una società poco seria, ed è una società poco seria perché Roma ha una tradizione culturalmente poco seria e molto approssimativa.
Premetto, sono Romano di adozione, perché mi hanno portato quì a cinque anni, e la città da dove provengo è ancora meno seria, quindi sono figlio del degrado e non voglio spalare fango dall'alto di un piedistallo, ma solo analizzare.
La mia analisi parte dal presupposto che il successo di un Club calcistico è fortemente legato alla capacità di una città di avere successo in generale sotto diversi aspetti (non per forza tutti insieme) da quello economico a quello sociale e amministrativo.
Innanzitutto le grandi squadre sono, la maggioranza delle volte, figlie di uno di questi due contesti:
- Una città economicamente e industrialmente trainante (Manchester, Milano, Barcellona, Monaco di Baviera)
- Una capitale politicamente trainante (Madrid, Lisbona)
Ci sono anche altre motivazioni che hanno reso o rendono un club vincente, specie negli ultimi decenni sono cambiate alcune regole del gioco e l'arrivo di un Magnate o la possibilità di offrire un bacino di utenza interessanti hanno potuto fare la fortuna di qualche squadra come il Chelsea ieri o il City oggi, ma non senza fatica perché una società vincente ha bisogno di costruire un know how, una tradizione e una cultura del lavoro senza le quali fai come il PSG. Una cultura del lavoro che Chelsea ieri e City oggi ci hanno messo del tempo a costruire, quella cultura del lavoro che nella società as Roma manca.
E quì arriviamo al punto centrale della mia tesi, Roma e la sua cultura del lavoro: non dico che un club vincente scaturisca sempre e solo da una città che abbia nel proprio tessuto culturale un approccio serio, ordinato, organizzato, alla vita e ai suoi problemi. Lo dico perché può sempre arrivare qualcuno che fa lavorare seriamenre una società anche nel più lascivo dei contesti, ma sicuramente la cosa rende il tutto più difficile.
Roma è una città che da decenni, molti decenni, ha perso tanto: come capitale è impresentabile, priva di servizi e decoro, una città che uccide i propri cittadini (invito a farsi un giro in capitali come Berlino, Madrid o Londra per capire gli anni luce di distanza nella serietà delle amministrazioni, dei servizi ma anche del semplice atteggiamento di un cittadino comune nei confronti dei doveri anche più piccoli). Lo è perché è, purtroppo, una città dominata dalla micro criminalità organizzata, le cui amministrazioni sono bloccate da dinamiche mafiosette, nella quale il familismo amorale e l'idea di sputare sul pubblico per ottenere sempre quel qualcosa in più nel privato la fanno da padroni. Queste dinamiche alimentano e vengono a loro volta alimentate, da una diffusione sempre più allargata di una cultura del non lavoro, della mancanza di serietà, della sciatteria, del me ne approfitto perché chi segue le regole è scemo, del faccio come me pare.
questo carattere, che non riguarda solo Roma ma molte zone d'Italia, purtroppo prevalentemente del centro sud, è quello che fa si che il 99% delle aziende romane quando mi hanno assunto hanno fatto partire il contratto dopo un mese senza nemmeno farmelo firmare mentre il mio amico alla Rinascente ha ricevuto il contratto il giorno stesso della prova, firmato e assunto in regola. È quello che fa si che sotto casa hai i bidoni della spazzatura in condizioni pietose. È quel che fa si che, nonostante Roma abbia già una rete ferroviaria fitta, ancora non hai una metro decente. È quel che fa si che ostia invece di avere un lungomare pedonale, ciclabile, con le palme e locali che fatturano i milioni col turismo, ha una specie di agglomerato triste di auto, asfalto e palazzine degradate.
Questa mentalità è fortemente permeata anche nelle due società calcistiche della città, e non lo dico io ma lo dicono fatti e racconti degli stessi professionisti.
Andate a vedere cosa racconta Nesta alla Bobo tv, quando dice che il passaggio dalla Lazio al Milan gli ha fatto capire la differenza tra le società calcistiche romane e quelle milanesi, che a Roma con uno scudetto vinto (ma anche con qualche derby) puoi fare come ti pare, non presentarti agli allenamenti, fare le tre del mattino, mentre a Milano pure che hai vinto la Champions League l'anno prima quando arrivi in allenamento in orario trovi il capitano che si allenava già da un'ora e ti guarda male...
E poi ancora, andiamo a vedere il famoso aneddoto di Spalletti che trova Totti a giocare a Poker alle tre di notte prima di una partita cruciale, io voglio bene al pupone e sono Romanista grazie a lui... ma la sua permanenza a Roma sotto certi aspetti ha bloccato la possibilità di cambiare questo atteggiamento... anche se per carità, mica dipende da Totti, ma da una lunga stratificazione nei ruoli più o meno apicali della società.
Ancora, recentemente gira un'intervista di Nainggolan che racconta che a Roma poteva fare come gli pareva e non gli rompevano il Ca...o come a Milano, che quì poteva bere, uscire, fare tardi.... Beh però sarà forse per questo che a Milano alla lunga, pure a parità di investimento, si vince di più?
Ancora, Zalewsky si fa fare un video con due elementi che personalmente manderei a svuotare le miniere per il resto della vita, che provocano pubblicamente mourinho dicendo che il ragazzo avrebbe pippato con loro: immaginate se lo avesse fatto un giovane del Milan... sarebbe stato venduto subito, gli avrebbero fatto un culo così, non avrebbe più visto il campo... invece stiamo a Roma...
Ovviamente conta anche il potere politico ed economico, ma non è tutto e tante opportunità ce le siamo perse più per la nostra mancanza di sacrificio e serietà che per queste differenze di potere politico.
Ora non voglio assolutamente prendere posizione politica e non sono un nostalgico del fascismo, ma sotto il regime Roma era un'altra cosa, non perché il regime fosse grande ma semplicemente perché ogni regime vuo fare della propria capitale la vetrina di presentazione di sé stesso. In un universo parallelo dove non cadeva il regime (e non sto dicendo di volerci vivere) probabilmente la Roma sarebbe stata una specie di Real Madrid, e infatti portarono lo scudo nel 42 e fu il primo scudetto vinto da una squadra non del nord (come dicevo all'inizio, le due condizioni principali che hanno creato le big sono o il potere industriale o quello politico, e la Roma era nata proprio sotto il secondo di questi contesti). Ma allo stesso modo anche la città sarebbe stata un'altra, il suo sviluppo urbanistico, i suoi servizi (Roma aveva la miglior rete tramviaria d'Europa, smantellata su pressioni degli agnelli già verso la fine del regime) e anche la Lazio

Ma le cose non sono andate così, e vabbè, noi ci ritroviamo a essere una città provinciale anche se enorme, degradata e dalla mentalità poco vantaggiosa e molto distruttiva, pace: penso però che ci siano speranze, per l'uno e per l'altro aspetto (che come ho detto sono legati ma possono anche slegarsi). C'è speranza per la società calcistica anche se la città non dovesse mai intraprendere un percorso di cambiamento e miglioramento, perché il bacino d'utenza c'è e una società seria (speriamo i friedkin lo siano) può piano piano cambiare e fare si che un domani pure Gesù Cristo verrebbe cacciato se beccato a giocare a poker alle tre prima di un quarto di Champions. Ma c'è speranza anche per la città, io vedo tanti concittadini esausti e un contesto che non può più permettersi di continuare con questo stile ormai quasi anacronistico. Dal Times a qualsiasi altro giornale di rilievo internazionale, tutti stanno facendo nera l'amministrazione di Roma e la città stessa, che non riesce a stare al passo con i parametri delle altre città europee ma anche di molte città italiane, e un cambiamento non sarebbe certo veloce, ma sarebbe possibile.... e una Roma (intesa come città e popolazione) più seria, intraprendente e disciplinata (che non deve significare perdere il nostro carattere un po' grezzo e pane al pane, ma solo mettere quel carattere al servizio di valori più funzionali) porterebbe automaticamente anche a rendere più seria la società calcistica.
La cultura del risultato e del lavoro sarebbero la medicina per il nostro contesto malato, qualcuno dirà che è una chimera, a mio parere dico che magari non può accadere, ma dico anche che perché accada prima bisogna prenderne consapevolezza.
grazie della lettura.