Velvetgold ha scritto: ↑ven 23 ago 2024, 15:03
Post lungo...
Sabato 30 agosto 1980
l'allora presidente, si avvicina al calciatore brasiliano appena arrivato a Roma. Il primo giocatore straniero nella Roma dopo un decennio circa. E' la sua amichevole di presentazione, contro la sua ex squadra. Lo prende da parte e gli fa
"senta le chiedo una cosa. Mi faccia qualche numero d'alta scuola, tunnel, colpi di tacco. Qualcosa che faccia scattare l'applauso, che stupisca, che emozioni il pubblico. Insomma, mi scaldi un po' la gente".
Il giocatore fa una faccia strana, non sembra molto convinto, ma è il presidente e non gli si può dire di no. Non da oggi, non subito almeno.
E lo fa. Durante la partita mette dentro qualche colpo di tacco, qualche tunnel, qualche numero che fa impazzire il pubblico.
A fine partita il presidente si avvicina per complimentarsi, ma la faccia del giocatore non è quella che ci si immagina per un volto felice e soddisfatto. E gioca sul tempo, prima che il numero 1 della società possa aprire bocca.
"Presidente, ha avuto i suoi numeri. Ma non me li chieda più perché non li farò. Sono venuto per vincere lo scudetto e non per fare la foca ammaestrata. Si vince con il collettivo e io sono al servizio della squadra e non di me stesso"
Forse avrebbe emozionato di più il numero dieci della nazionale brasiliana. All'inizio il pubblico sembrava non accorgersi della sua presenza. I suoi compagni di squadra invece iniziarono a farlo fin dal primo allenamento.
Nel suo primo anno, portò la Roma a pochi centimetri dal suo secondo scudetto, che avrebbe meritato a mani basse. Le rose al tempo erano composte di 13, massimo 14 giocatori. In quell'anno otto giocatori della rosa, (Spinosi, Rocca, Maggiora, Santarini, Di BArtolomei, De Nadai, Pruzzo, Scarnecchia) erano nella Roma che due anni prima rischiò la B. In sei in campo nel due a due contro l'Atalanta, in quattro erano titolari a Torino quel 10 maggio del 1981.
La stessa squadra che invece l'anno prima arrivò settima in campionato dopo il suo arrivo si trasformò. Migliorò del 200% il rendimento di ciascuno, cambiando la testa, le capacità di concentrazione, il modo di stare in campo.
per chi dice "eh, ma aveva dei fenomeni in squadra". No. Erano buoni giocatori, qualcuno molto buono. Campioni lo diventarono grazie a lui. Uno di loro diventò un fenomeno. Gli insegnò a muoversi in campo nel modo giusto; a capire quali fossero i momenti decisivi della partita; quando alzare l'intensità e quando addormentare la partita; come gestire l'approccio mentale ed emotivo ("quando arrivai a Roma rimasi colpito nel vedere che alcuni compagni vomitavano per la tensione prima di entrare in campo")
Lo sanno anche loro. Non vinceva le partite da solo; ma le faceva vincere a tutti i compagni. Perché si vince sempre come squadra, mai per merito di uno solo. E lo sapeva anche Maradona, che era il primo a battersi con Ferlaino per i diritti dell'ultimo massaggiatore o ragazzo della Primavera.
Mettendo la squadra prima del singolo mi ha emozionato come nessun altro mai. Perché per la prima volta, a 11 anni, capii che nella vita potevo vincere anche io